lunedì 31 ottobre 2016

IL TRIONFO DEI MONOTEMATICI


Una costante dei miei primi anni sia da ascoltatore, che poi da "attivista" hip-hop era il sentirsi dire "Suona tutto uguale".
E più me lo dicevano non solo gli amici, ma anche certi addetti ai lavori, meno me ne capacitavo. Oggi però gli si potrebbe dare ragione.



Ancora mi stupisco di come, in quell'era che fu prima degli Articolo 31 fino all'eclissi dei Sottotono o al cambio artistico di Neffa, l'ascoltatore medio di musica italiana potesse percepire il rap nostrano come "tutto uguale".
Superficiali, mi dicevo.
Per non parlare quando identica era la voce di professionisti. E ne ho sentiti, di personaggi anche di un certo livello, ripetere questa cosa: discografici, giornalisti, radiofonici, artisti d'altri generi.
Storditi, mi dicevo.

Gli album di rap che uscivano erano talmente completi, talmente vari, che roba del genere nella musica italiana non s'era mai vista.
Pur sul binario di un determinato genere (come per qualsiasi altro dal rock alla dance, passando per il blues, il funk, il raggae e chi più ne ha più ne metta) vogliamo paragonare il numero di atmosfere sonore e tematiche di un Così com'è, un Comunque vada sarà un successo o persino un più underground Generazione di sconvolti con quel che mediamente girava in classifica nei rispettivi anni?
Non c'era competizione, o piuttosto poca.

Negli ultimi 5-10 anni, invece, questa maniera poliedrica di concepire gli album si è andata via via smontando e sono nati i "settorialisti": se prima un album era fatto di parti hardcore, riflessive, sentimentali, intrattenitive eccetera, oggi per ognuna di queste c'è un rapper che non solo vi incentra un album, ma ci basa una carriera.
Dalla poliedricità si è passati alla ricerca estrema del tratto distintivo, di quel che cioè in linguaggio business si definisce "posizionamento strategico".

Se in ottica professionistica è una modalità coi suoi perché, artisticamente parlando è tangibile l'inaridimento.
Sarei curioso di sapere come la vedono i soggetti di cui sopra. Oggi che avrebbero ragione, ma che hanno smesso di mettere in discussione una tipologia musicale che, paradossalmente, ha trovato nel proprio impoverimento artistico la chiave per conquistare l'Italia.

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