giovedì 19 gennaio 2017

#STORIEDAHIPHOP n°6: SUL MENSILE (SE PAGHI)


Correva l'anno 2008, davo alla luce Palestra di vita.
Un manipolo di sciacalli fece squillare il mio cellulare.

martedì 3 gennaio 2017

PRECEDENZA AI CRONISTI

"Se non hai storie, meglio che non scrivi", disse saggiamente qualcuno.
"Fa' bbucchini Capare' e chi se perd' rint' 'e tecniche", rincarò qualcun altro.
Siamo d'accordo?

Sono risalito di recente fino ad uno dei pezzi più reali, crudi e poetici che abbia sfornato il rap del nuovo millennio: "Storie" di Montenero, ai tempi nella Dogo Gang.


Non un fuoriclasse, non parte di una scuderia che stimi particolarmente, ma da anni e anni ogni volta che riascolto questo pezzo sono brividi dalle mani alla testa.
FatFat che caccia uno dei beat più belli di sempre, Montenero che si asporta il cuore e ce lo spalma sopra. Mette sul piatto la sua vita, casa sua, suo padre. Arrivano dettagli e sfumature che solo il vissuto permette di assimilare. Arriva pure uno stile che non gli vedo altrove.
Si supera, in tutto e per tutto, e supera.

Supera qualsiasi pezzo migliore tecnicamente, che magari fa saltare dalla sedia ma non arriva sottopelle tanto quanto il suo.
Riascoltandolo torno sempre allo stesso punto. E non specificamente a lui, ma a chi arriva dov'è arrivato lui qui, riservo il gradino più alto del podio.

Far cagare non è un'opzione, chiariamoci. Se n'è vista di gente vissuta provare al microfono e non saper mettere due barre in bolla. Quelli lascino stare il rap, sempre e comunque, e trovino altre maniere per raccontarsi. In bocca al lupo, che di storie vere ce n'è bisogno.
Quello di Montenero, invece, rimane l'esempio che porto in testa circa il pezzo perfetto: beat eccelso, giusta tecnica e il vissuto in prima persona.
E' l'istinto a dirmelo: precedenza ai cronisti, i fantasisti poi.
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